A CASA, MA NON SOLI

 

Carissimi genitori, ed è ancora emergenza…

Dobbiamo vivere - perché è spazio e tempo della nostra vita - il presente.

È il presente che ci interessa, e in fondo dovrebbe essere sempre così. Non possiamo fare previsioni che continuamente ci vengono disattese. Anche la preoccupazione “per quello che sarà dopo” non può occuparci troppo; è adesso che dobbiamo vivere.

Pensiamo a chi di voi è in prima linea in ospedale e nei servizi e a chi di voi è in prima linea con i figli. E quello lo siamo un po’ tutti …

Come scuole ci stiamo dando molto da fare per trovare modalità adatte alle diverse età degli alunni, nella consapevolezza che non si ipotizza assolutamente di perdere l’anno - come qualcuno di voi teme - ma di rendere il più utile possibile questo tempo, comunque sia lungo.

Per aiutarci a tenere viva la riflessione su noi stessi e su quello che la quotidianità ci propone, abbiamo pensato di mandarvi ogni tanto spunti significativi, o almeno che noi come adulti troviamo tali.

Una specie di rassegna stampa che vi invieremo e collocheremo anche sui nostri siti.

 

Iniziamo segnalandovi una testimonianza ricca di riflessioni sull’oggi che ci arriva da un medico in prima linea all’Ospedale “Sacco” di Milano: un aiuto a crescere nella coscienza che tutto è dono.

 

“Sono un medico della prima divisione di Malattie infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano, fino a ieri esperto di terapia antiretrovirale con 650 pazienti sieropositivi per Hiv, catapultato poi come tutti in reparto Covid.

Oggi ho un attimo di pausa e le scrivo per condividere i pensieri che mi affollavano la testa questa mattina mentre guidavo per venire in ospedale.

Il primo pensiero era stridente rispetto al forzato ottimismo che vedo in giro in questi giorni, gli applausi, la nuova idolatria per la classe medica e infermieristica. Sono, a mio parere, tutti comprensibili tentativi di esorcizzare una umanissima paura, ma deboli quanto al contenuto. Ce la faremo, infatti, cosa significa? Che dobbiamo guardare solo alla fine dell’epidemia saltando la drammaticità del presente? E poi: chi ce la faremo? Io e lei che ci scriviamo? Il popolo italiano inteso astrattamente? Tutto questo mi convince poco e mi lascia francamente perplesso. Secondo pensiero. Noto, e trovo che sia un sintomo molto importante, la scomparsa quasi totale del lamento. I miei pazienti invece di lamentarsi mi mandano ogni giorni messaggi per chiedermi come sto e anche per partecipare dell’esperienza incredibile ed eccezionale che sto vivendo. E questa è la vera ragione per cui ho deciso di scriverle.

In effetti quello che io sto vivendo, ma credo sia esperienza anche di molti altri, è l’avverarsi di un fenomeno che non di rado noi medici vediamo in chi è scampato a un pericolo potenzialmente mortale: l’esperienza di aprire gli occhi e accorgersi che nulla è più scontato. Ossia che tutto è dono, dal risveglio del mattino, dal saluto ai propri cari a ogni piccola piega di un quotidiano che per alcuni è tutto da riempire, per altri come me è diventato, se mai era pensabile, più vorticoso di prima.

La grazia di questa nuova coscienza di sé trasforma radicalmente ciò che facciamo, genera stupore, amicizia, ci si guarda e ci si dice: oggi non ci possiamo abbracciare ma un sorriso ci dice ancora di più di quanto potrebbe dire un abbraccio. Questa consapevolezza ci fa diventare partecipi del dramma dei nostri pazienti e non è assolutamente un caso che i miei colleghi mi chiedano di pregare non solo per i loro cari ma anche per i loro pazienti, come non era mai successo prima. E anche questo è contagioso. Ieri mi ha chiamato una signora di Crema per sentire notizie della nonna, ricoverata al Sacco, che è molto grave. Mi ha riferito dell’altra nonna, morta di Covid, e della mamma, in rianimazione a Crema, poi mi ha detto: “Vede dottore, all’inizio io pregavo, ora non prego nemmeno più”. Io le ho risposto: “La capisco, signora, non si preoccupi, pregherò io per lei”. Al sentirlo ha avuto un sobbalzo e ha risposto: “No, dottore, se lo fa lei lo faccio anch’io. E anche per la mia mamma, preghiamo insieme”.

Tutto questo è ricchezza, grazia, che se più gente ne prendesse coscienza potrebbe a mio parere avere anche un grande valore civile: riconoscere che siamo fragili e che tutto ci è donato, a partire dal respiro, oggi così poco scontato, appianerebbe tante divergenze e discussioni inutili.

L’ultimo pensiero è andato al dopo: esperienza comune è che dopo un periodo di grande entusiasmo con il tempo tutto si spegne e i vecchi vizi riemergono, come già lamentava Dante Alighieri rispetto al secolo che lo aveva preceduto. Cosa ci può salvare da questa prevedibile iattura? Per quello che ne capisco io è necessario che questa gratitudine diventi un giudizio riflesso su quello che sta succedendo, che è bene espresso dalla domanda e dalla curiosità che tutti ci facciamo in questi giorni e che ci mette insieme: qual è, al fondo, l’origine di tutto ciò? Perché improvvisamente i nostri occhi si sono aperti e abbiamo iniziato a intravedere il fondo reale delle cose? Dove ci può portare questa esperienza? Dove ritrovare questo sguardo così umano gli uni verso gli altri che in questi giorni vediamo in tante situazioni? Chi ci può aiutare?

Per me l’esperienza dell’irrompere dello stupore nella vita, per cui nulla è mai scontato e tutto è dato, è iniziata molti anni fa, e quando riaccade è come una ripartenza che rinnova in me la certezza dell’origine. Per altri sarà un cammino nuovo. Io non posso e non voglio dare risposte precostituite perché ognuno potrà capire, come me, solo facendone esperienza. Ma posso suggerire la domanda, perché nulla cada nella scontatezza e nella riduzione, estetica o cervellotica. Poi sono arrivato in ospedale”.

Amedeo Capetti

 

Grazie e buon cammino!

 

Annamaria Formigoni Direttrice Scuola primaria “Pietro Scola”

Francesco Riva Preside Scuola sec.I grado “M.Kolbe”

Paola Perossi Preside Liceo “G.Leopardi”

 

 
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